giovedì 1 marzo 2012

OCCIDENTE SOLITARIO: un noir grottesco che parla di solitudine






Due fratelli in eterno conflitto, Coleman (Claudio Santamaria) e Valene (Filippo Nigro). Un prete (Massimo de Santis) con perenni crisi di fede. Una “ragazzina” (Nicole Murgia) che vende whisky di contrabbando. Questi sono i quattro personaggi dello spettacolo andato in scena al Teatro Gentile lo scorso sabato, “Occidente solitario”(di Martin McDonagh, regia di Juan Diego Puerta Lopez).
Lo scenario è quello di un folle paesino d’Irlanda, dove vivono Coleman e Valene. I due fratelli hanno appena perso il padre (solo loro sanno come) e, anziché vivere normalmente il loro dolore, pensano solo a bere whisky. Valene è una persona estremamente possessiva: segna l’iniziale del suo nome su tutto ciò che è suo, sulla casa lasciatagli in eredità, sul forno a legna rosso che ha da poco comprato e nutre un’ossessione particolare verso le statuine di santi con cui ha riempito l’abitazione. Il fratello Coleman invece non possiede nulla: tutto ciò che riesce a fare è bere di nascosto il whisky di Valene e rubare le sue patatine, ovviamente quando non è in giro per partecipare da scroccone al banchetto di qualche funerale.
Quando i due si trovano insieme la lite è scontata: non riescono ad andare d’accordo sin da bambini e le loro vite sono trascorse tra diffidenza reciproca e stravaganti vendette. Anche nei momenti più tranquilli la violenza tra loro è sempre pronta ad esplodere, basta una sola parola.
L’unica persona che cerca di farli riunire è Padre Welsh (o Walsh?), un parroco dal carattere debole e dal vizio dell’alcool che, in preda alle sue sbronze tristi, manifesta ingenti crisi di fede, crisi accentuate dalle tragiche vicende che si susseguono nel paesino e di cui lui si sente responsabile.
Tramite importante tra il parroco e i due fratelli è una ragazza senza nome, che tutti chiamano “ragazzina”. Lei, giovane e bella, vende whisky di contrabbando porta a porta attirando gli sguardi maliziosi di tutti e nutre un affetto particolare per padre Welsh.
Tutto lo spettacolo ruota intorno alla solitudine dei personaggi che non riescono ad avere un rapporto umano perché profondamente disadattati ed irascibili, quasi brutali. E la loro brutalità è dipinta da un linguaggio forte e da gesti folli.  Tutto è portato all’eccesso durante lo spettacolo, sia la caratterizzazione dei protagonisti sia i fatti che si susseguono, un eccesso che  diventa a tratti ironico ma dietro cui è ben presente l’incomunicabilità dei personaggi e  la loro perenne solitudine. Un noir grottesco che tocca un tematica attualissima. Dietro al “solitario” del titolo dello spettacolo si trova insomma la chiave di tutta questa commedia un po’ amara.