giovedì 23 maggio 2013

La grande bellezza: carta vetrata che gratta via il superfluo



E' tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore


"La grande bellezza", l'ultima pellicola di Sorrentino, è riassunta in questa frase.



Si parla di una vita sepolta, sotterrata, sedimentata appunto sotto un turbinio di vani piaceri e di immagini costruite ad hoc per trovare una collocazione in un mondo altrettanto vano, quello della Roma mondana, emblema di un'Italia mondana (che poi è la stessa Italia che detta le regole).

Ecco allora che i protagonisti cercano di darsi un tono, cercano di camuffare una solitudine  incolmabile, cercano di sotterrare delle mancanze evidenti affogandole in un bicchiere di vino (in molti bicchieri di vino) e in qualche striscia di cocaina.

Tutti vivono nella loro menzogna. L'unico che ne è consapevole, ma che con cinismo continua a stare al gioco, è Jep Gambardella, giornalista di costume che dall'età di 26 anni vive a Roma dove è diventato il "re dei mondani". 

Jep quasi ogni sera ospita nella sua "modesta" terrazza con vista sul Colosseo quelle maschere, quelle feste, quei miserabili. Il suo cinismo, la sua noia, il suo vivere galleggiando cela qualcosa. 
Jep è l'emblema di una mancanza sepolta che a tratti verrà portata a galla, ma senza svelare mai troppo.

"La grande bellezza" è un film a tratti visionario, che abbandona la linearità della narrazione per lasciar posto alle immagini, ai volti, agli spazi dei palazzi romani, alle case che odorano di vecchio. Un film che, come la carta vetrata, gratta via la superficie, ma senza criticarla con una morale scontata e già vista. Un film che a  non può esser definito semplicemente "pellicola di denuncia di una società malata", sarebbe riduttivo. 
Va visto.

Eccezionale Servillo, che riesce a recitare con lo sguardo. Un'espressività rara.
Magistrale Sorrentino, che conferma di essere uno dei migliori registi che l'Italia può vantare di avere.