mercoledì 2 novembre 2011

IL CINEMA? LA MIA UNICA DANNAZIONE Intervista a Giovanni Veronesi

Visto il recente conferimento del Premio Fabriano Artisti dello Spettacolo al  toscano Giovanni Veronesi, ripropongo un'intervista al regista uscita su "L'Azione" durante la scorsa estate.





Giovanni Veronesi è un personaggio noto nel panorama cinematografico italiano e, anche chi non ne conosce il nome sicuramente avrà visto i suoi film: i suoi Manuali d’amore, Italians, Genitori e Figli, solo per citare i più recenti. Il regista la scorsa settimana si trovava proprio a Fabriano, dove da anni ormai frequenta lo studio del fisioterapista Bruno Palombi, e si è gentilmente prestato ad una chiacchierata con  i giornalisti e con  il regista horror Sergio Marcello Fabrinsky e i suoi attori, curiosi di apprendere da un uomo di successo i suoi racconti sul mondo del cinema.
Visto che non è la prima volta che viene a Fabriano, che idea si è fatta di questa città?
Ho avuto modo di vedere la città solo velocemente quindi non mi sono fatto un’idea precisa. Comunque chiunque ha disegnato sulla sua carta! Ciò che mi colpisce è questa passione per i film horror che sta nascendo e si sta facendo un buon lavoro. Mi piace che a Fabriano  si facciano gli horror, è una cosa stranissima e particolarissima. Penso che sia una buona cosa per una città come questa in cui il cinema magari non è che capita spesso. Dove ci sono persone così c’è sempre spazio per far crescere dei talenti. Non tutti hanno modo o coraggio di andare a tentare fortuna a Roma e quindi è importante che anche in un contesto così ci sia qualcuno che ti ci faccia avvicinare al cinema. E’ in questo modo, in queste occasioni che capisci se ti scatta qualcosa che ti fa comprendere che del cinema poi non ne puoi più fare a meno.
E il suo di approccio al cinema come è avvenuto? Anche per lei è iniziato tutto in una piccola realtà?
E’ sempre così. Io vivevo a Prato, una cittadina che di cinema non ne sapeva niente. C’era un signore che faceva il regista girando film amatoriali e mi ricordo che un giorno mi fermai per un’ora e mezza a guardare un suo set cinematografico per strada. Il regista quando si accorse che io mi ero fermato molto di più di normali curiosi si mise a parlare con me e mi chiese se volevo aiutarlo. Iniziando ad aiutarlo ho capito che non avevo scelte. L’unica dannazione che ho capito di avere in quel momento era che non avrei avuto alternative al cinema.
Nel suo ultimo film lei ha diretto il grande  Robert De Niro: c’è stata un po’ di soggezione da parte sua?
C’è stata e c’è ancora! Ancora adesso quando lo vedo mi viene in mente che lui è Toro Scatenato, Al Capone e altri ancora, insomma ha fatto cose incredibili! Ma è una persona straordinaria, con lui si parla come ad un fratello ed è stata un’esperienza stupenda lavorare insieme a lui.
Lei come lo definirebbe il cinema italiano di oggi?
Proprio poco fa sono stato a Narni a presentare la Grande Guerra, un film di Mario Monicelli e me ne sono rivisto un pezzo: ho pensato che come regista era modernissimo, anche perché la stessa cura dei dettagli messi nei titoli di coda che lui ha utilizzata l’ho rivista anni in un film di Tarantino. Questo significa che i nostri registi erano avanti, ma penso che quella generazione di registi, Monicelli, Fellini, Rossellini, Antonioni per ora è inarrivabile. Il cinema di adesso è sicuramente minore, però sono periodi..ci vuole una rivoluzione culturale per produrre un nuovo risveglio.
Quale è stato il suo film più sofferto?
Uno dei primi: “Silenzio si nasce”. La storia è quella di due feti che aspettano 9 mesi dentro la pancia della mamma prima di nascere. Era un fantasy, anche se io non sapevo che stavo facendo un fantasy. E’ stato sofferto perché era girato tutto all’interno di un grembo materno interamente ricostruito da uno scultore italiano, Giovanni Albanese, fatto con un’idea molto primordiale di quello che si vive nella pancia. E’ stato difficilissimo stare per otto settimane lì dentro. Me la ricordo come un’esperienza faticosissima.
Quali sono i suoi film che lo hanno reso più orgoglioso?
Io in generale mi inorgoglisco quando finisco un film, lo guardo e capisco che è stato realizzato al 70% di come lo avevo in testa. Il 30 % lo perdi sempre per strada, magari perché non hai l’attore giusto, o perché il giorno in cui devi girare una certa scena il tempo non è quello che vorresti o magari perché non hai l’idea giusta al momento giusto e la creatività costa, quindi per rispettare i tempi di produzione a volte bisogna trovare un’idea per forza, senza poter rimandare, ma quella idea poi sarà eterna. Ecco perché questo è un mestiere difficile.
Sempre che si possa svelare: progetti per il futuro?
Tra un anno dovremmo iniziare le riprese per il nuovo film..