Visto il recente conferimento del Premio Fabriano Artisti dello Spettacolo al toscano Giovanni Veronesi, ripropongo un'intervista al regista uscita su "L'Azione" durante la scorsa estate.
Giovanni Veronesi è un personaggio noto nel panorama
cinematografico italiano e, anche chi non ne conosce il nome sicuramente avrà
visto i suoi film: i suoi Manuali d’amore, Italians, Genitori e Figli, solo per
citare i più recenti. Il regista la scorsa settimana si trovava proprio a
Fabriano, dove da anni ormai frequenta lo studio del fisioterapista Bruno
Palombi, e si è gentilmente prestato ad una chiacchierata con i giornalisti e con il regista horror Sergio Marcello Fabrinsky
e i suoi attori, curiosi di apprendere da un uomo di successo i suoi racconti
sul mondo del cinema.
Visto che non è la prima volta che viene a Fabriano, che idea si è
fatta di questa città?
Ho avuto modo di vedere la città
solo velocemente quindi non mi sono fatto un’idea precisa. Comunque chiunque ha
disegnato sulla sua carta! Ciò che mi colpisce è questa passione per i film
horror che sta nascendo e si sta facendo un buon lavoro. Mi piace che a
Fabriano si facciano gli horror, è una
cosa stranissima e particolarissima. Penso che sia una buona cosa per una città
come questa in cui il cinema magari non è che capita spesso. Dove ci sono
persone così c’è sempre spazio per far crescere dei talenti. Non tutti hanno
modo o coraggio di andare a tentare fortuna a Roma e quindi è importante che
anche in un contesto così ci sia qualcuno che ti ci faccia avvicinare al
cinema. E’ in questo modo, in queste occasioni che capisci se ti scatta qualcosa
che ti fa comprendere che del cinema poi non ne puoi più fare a meno.
E il suo di approccio al cinema come è avvenuto? Anche per lei è iniziato
tutto in una piccola realtà?
E’ sempre così. Io vivevo a
Prato, una cittadina che di cinema non ne sapeva niente. C’era un signore che
faceva il regista girando film amatoriali e mi ricordo che un giorno mi fermai
per un’ora e mezza a guardare un suo set cinematografico per strada. Il regista
quando si accorse che io mi ero fermato molto di più di normali curiosi si mise
a parlare con me e mi chiese se volevo aiutarlo. Iniziando ad aiutarlo ho capito
che non avevo scelte. L’unica dannazione che ho capito di avere in quel momento
era che non avrei avuto alternative al cinema.
Nel suo ultimo film lei ha diretto il grande Robert De Niro: c’è stata un po’ di soggezione
da parte sua?
C’è stata e c’è ancora! Ancora
adesso quando lo vedo mi viene in mente che lui è Toro Scatenato, Al Capone e
altri ancora, insomma ha fatto cose incredibili! Ma è una persona
straordinaria, con lui si parla come ad un fratello ed è stata un’esperienza
stupenda lavorare insieme a lui.
Lei come lo definirebbe il cinema italiano di oggi?
Proprio poco fa sono stato a
Narni a presentare la Grande Guerra, un film di Mario Monicelli e me ne sono
rivisto un pezzo: ho pensato che come regista era modernissimo, anche perché la
stessa cura dei dettagli messi nei titoli di coda che lui ha utilizzata l’ho
rivista anni in un film di Tarantino. Questo significa che i nostri registi
erano avanti, ma penso che quella generazione di registi, Monicelli, Fellini,
Rossellini, Antonioni per ora è inarrivabile. Il cinema di adesso è sicuramente
minore, però sono periodi..ci vuole una rivoluzione culturale per produrre un
nuovo risveglio.
Quale è stato il suo film più sofferto?
Uno dei primi: “Silenzio si nasce”.
La storia è quella di due feti che aspettano 9 mesi dentro la pancia della
mamma prima di nascere. Era un fantasy, anche se io non sapevo che stavo
facendo un fantasy. E’ stato sofferto perché era girato tutto all’interno di un
grembo materno interamente ricostruito da uno scultore italiano, Giovanni
Albanese, fatto con un’idea molto primordiale di quello che si vive nella
pancia. E’ stato difficilissimo stare per otto settimane lì dentro. Me la
ricordo come un’esperienza faticosissima.
Quali sono i suoi film che lo hanno reso più orgoglioso?
Io in generale mi inorgoglisco
quando finisco un film, lo guardo e capisco che è stato realizzato al 70% di
come lo avevo in testa. Il 30 % lo perdi sempre per strada, magari perché non
hai l’attore giusto, o perché il giorno in cui devi girare una certa scena il
tempo non è quello che vorresti o magari perché non hai l’idea giusta al
momento giusto e la creatività costa, quindi per rispettare i tempi di
produzione a volte bisogna trovare un’idea per forza, senza poter rimandare, ma
quella idea poi sarà eterna. Ecco perché questo è un mestiere difficile.
Sempre che si possa svelare: progetti per il futuro?
Tra un anno dovremmo iniziare le
riprese per il nuovo film..